10/05/2009

Tema sulla crisi finanziaria

Crisi finanziaria, quello che non ci dicono

Se il capitalismo è fallito o no non si può ancora dire, anche se l’economia più florida adesso è quella cinese che si basa sulle dottrine socialiste. Quello che si può affermare è che la corsa alla privatizzazione ha incontrato un ostacolo insormontabile e che si dovrebbe riflettere un po’ sulle conseguenze del libero mercato
Tutto inizia, secondo le cronache, quando alcune banche americane iniziano a concedere prestiti a chiunque per acquistare case. Sembrava un affare promettente: invece di pagare un affitto, l’inquilino poteva pagare un mutuo. Le garanzie richieste erano in pratica zero, soprattutto in confronto alle regole bancarie italiane che fanno in modo che i prestiti vadano a chi i soldi già ce l’ha. I mutui concessi dalle banche americane erano tantissimi: chiunque, anche senza un lavoro fisso, poteva permettersi una casa. A causa dell’inflazione e dell’aumento del costo della vita, molti di coloro che erano in debito nei confronti delle banche non hanno più potuto pagare le rate del mutuo, e sono stati costretti a lasciare la propria casa. Le banche ora si trovavano nella condizione di possedere migliaia di case e appartamenti sfitti il cui prezzo era svalutato e che nessuno poteva comunque permettersi di acquistare. La bolla dei subprime, quando è scoppiata, ha portato con se tutto il sistema bancario americano, e successivamente tutta l’economia del paese. In Italia ci dicono che questo non può accadere, che il nostro sistema è diverso. Infatti ci sono regole molto più severe nei confronti della finanza. Il fatto è che le banche di affari americane (le banche delle banche) avevano investito anche nel nostro paese, comprando azioni dell’Unicredit ad esempio, ma di dati certi non ce ne sono, perchè il nostro governo li tiene gelosamente nascosti.
Quello che nessuno dice però, è che il sistema americano è tutto privatizzato, dalla scuola alla sanità alla previdenza sociale. Lo tsunami che ora si è scatenato ha devastato ogni aspetto della vita degli statunitensi, perché tutto passava dalle banche e dalle assicurazioni. Tantissimi americani hanno perso la pensione, definitivamente, perché l’avevano investita in fondi che poi sono falliti.

Naturalmente, essendo l’economia a stelle e strisce quella predominante nel mondo, era inevitabile che la crisi non si riflettesse anche sui mercati in tutto il mondo, dall’Italia al Giappone, dal Brasile all’Australia.

In Italia gli effetti della crisi fino a questo momento, secondo la mia opinione, sono stati piuttosto relativi.

Di fatto è un dovere fare una distinzione tra grandi e piccoli risparmiatori e tra operai e liberi professionisti.

Gli effetti della crisi economica che ha sconvolto la maggior parte dei cittadini americani si sono fatti sentire soprattutto per quanto concerne i grandi risparmiatori e gli operai. I primi hanno visto molti dei propri titoli bancari crollare deficitariamente nel giro di pochissimo tempo, senza dare possibilità di rimedio, e lasciandoli sull’orlo di un precipizio chiamato bancarotta.

Per quanto riguarda invece gli operai, questi ultimi, essendo quasi alla mercé dei propri datori di lavoro, ed essendo questi ultimi in crisi, si sono visti spesso vicini al licenziamento che avrebbe rappresentato un ostacolo insormontabile per l’andamento del loro futuro prossimo.

Nel 2009 sono previsti licenziamenti per circa un milione di operai. Perciò è ora di darci una mossa anche qui in Italia, e non rimanere a guardare l’andamento dei titoli di borsa di Wall Street, ma iniziare a pensare anche noi a qualche rimedio per affrontare un altro anno difficile che ancor prima di arrivare inizia a pesare sulle spalle degli italiani.

Per il momento la crisi non ha colpito fortunatamente i piccoli risparmiatori, oltre i beni di consumo giornalieri che stanno avendo un costante aumento dei prezzi intorno al 3%.

Al contrario, per far fronte alla crisi, le grandi aziende stanno, fortunatamente per i cittadini, abbassando i prezzi dei propri prodotti.” La picchiata dei prezzi non appartiene oramai solo all’elettronica di consumo,riguarda adesso anche l’automobile,le moto,l’abbigliamento e si è spinta fino a lambire i consumi petroliferi,che in Italia sono calati del 3 per cento e di 1 punto in più negli Stati Uniti. La Fiat registra solo un caso di riduzione del prezzo,per la versione base a benzina della Lancia Y,scesa rispetto a pochi mesi fa dell’1,2 per cento. Analogamente hanno fatto la Ford per alcuni modelli e la Wolkswagen. I francesi della Citroen hanno scelto di confermare il prezzo 2007 della C3 1.1 a 12.750 euro.Una sportiva Honda come la Cbr 600,che di listino vale 11.200 euro,si può comprare a 8.500 euro. È anche il caso dell’abbigliamento. Se si guardano attentamente le vetrine si scovano esposti maglioni in cashmere a 50 euro:la metà del cartellino 2007”(Gianni Pintus,Panorama).L’ondata di ribassi vede come protagonista la grande distribuzione,che per sorreggere le vendite e non intaccare il fatturato lancia campagne di sconto.

In conclusione, il rimedio che sembra potersi autoporsi il popolo per provare a trovare uno sbocco verso l’uscita dalla crisi potrebbe essere veramente quello di comprare e provare a riattivare la circolazione del denaro, proprio come il premier Silvio Berlusconi, in mezzo ad una folla festante per il suo arrivo nei pressi di Pescara, aveva invogliato a fare nello scorso dicembre.

Nessun commento:

Posta un commento