10/06/2009

Relazione libro "Siddharta"-Herman Hesse

Relazione “Siddharta”

1.“Siddharta”

2. Hermann Hesse

Hermann Hesse (Calw, 2 luglio 1877Collina d'Oro, 9 agosto 1962) è stato uno scrittore, poeta e pittore tedesco. Ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1946. La sua produzione, in versi ed in prosa, è vastissima e conta quindici raccolte di poesie e trentadue tra romanzi e raccolte di racconti. I suoi romanzi più famosi sono Peter Camenzind (1904), Il lupo della steppa (1927), Il gioco delle perle di vetro, (1943) e Siddharta (1922). I suoi lavori rispecchiano il suo interesse per l'esistenzialismo, lo spiritualismo, il misticismo, non meno della filosofia indù e buddhista. Nacque nella città di Calw nel Baden-Württemberg, Germania. Avviato agli studi teologici nel seminario evangelico di Maulbronn a Tubinga, lasciò il seminario dopo una fuga e un tentativo di suicidio nel 1892. Dopo un soggiorno in una clinica per disagi mentali, si trasferì prima a Tubinga e poi a Basilea (1895-1899), dove praticò la professione di libraio, e dove compose le sue prime opere come: Canti Romantici e Un'ora dopo mezzanotte. L'affermazione giunse con il romanzo Peter Camenzind. Dopo il matrimonio nel 1904 con Maria Bernoulli (1869-1963), si trasferì in Svizzera nei pressi del Lago di Costanza, dove nacquero i suoi tre figli, Bruno (1905), Heiner (1909) e Martin (1911). Del 1906 è il romanzo Sotto la ruota, pieno di elementi autobiografici, nel quale Hesse rievoca il periodo tragico dei suoi studi a Maulbronn, e da lui considerato una sorta di resa dei conti verso l'educazione e il clima pegagogico da lui sofferti durante gli anni dell'adolescenza. La prima guerra mondiale coincise con una profonda crisi personale e artistica, ma allo stesso tempo gli permise di operare una svolta decisiva nella sua poetica, svolta che lo portò a scrivere Demian e L'ultima estate di Klingsor. Allo scoppio della guerra si presentò come volontario al fronte ma fu riformato; pur restando sempre combattuto se dare il suo apporto come tedesco alla causa bellica, non condivideva lo spirito nazionalista dei suoi compatrioti, ma volle comunque prendere le distanze dai pacifisti allora riuniti in Svizzera. I suoi pensieri circa la guerra si ritroveranno in molte sue opere. Al termine del conflitto mondiale, durante il quale le posizione pacifiste di Hesse erano state osteggiate dalla maggioranza dei suoi connazionali, egli sarà indotto per l'aggravarsi del suo stato di disagio interiore a ricorrere al trattamento psicoanalitico presso un allievo di Carl Gustav Jung. Nel 1919 venne pubblicato il romanzo di formazione Demian, storia di un adolescente timido aiutato nella sua crescita da un amico, e che riscosse un grande successo di pubblico. Nello stesso anno si trasferisce a Montagnola dove si dedicò anche alla pittura, sua seconda passione. Nel 1922 vide la luce una delle sue opere più importanti e intense: Siddharta, frutto di un viaggio in India e del suo interessamento alla cultura orientale. Ricevette la cittadinanza svizzera nel 1923. La crisi emotiva che travolse Hesse, sintomo di un'incapacità di relazionarsi con il prossimo, fu riflessa nel romanzo Il lupo della steppa del 1927. Nel 1930 aveva scritto intanto Narciso e Boccadoro, storia di un'amicizia ambientata nel Medioevo cristiano, alla cui religiosità Hesse rimase sempre particolarmente sensibile. Sotto il regime nazista, i suoi scritti trovarono atipici estimatori: il ministro tedesco per la propaganda Joseph Goebbels inizialmente difese le sue opere. Tuttavia, nel momento in cui avanzò la richiesta di non censurare le parti del libro Narciso e Boccadoro in cui si trattava di pogrom, Hesse si ritrovò nelle liste di proscrizione naziste. Durante la seconda guerra mondiale ospitò nella sua casa di Montagnola intellettuali costretti all'emigrazione. Hesse aderì al conservatorismo in età avanzata. Ne Il gioco delle perle di vetro, i personaggi giudicano superficiale e sostanzialmente brutta tutta la musica dopo Johann Sebastian Bach, impuntandosi in particolare con l'esempio del cattivo gusto, Ludwig van Beethoven. Il libro riscosse molto successo nella Germania dell'immediato dopoguerra, con il suo stile medievale idealizzato. Morì a Montagnola all'età di 85 anni per emorragia cerebrale.

3. “Siddharta” fu pubblicato nel 1922.

4. Romanzo storico.

5.a) Siddharta è un romanzo dello scrittore tedesco Hermann Hesse edito nel 1922. Il romanzo presenta un registro molto originale che unisce lirica ed epica, ma anche narrazione e meditazione, elevazione e sensualità, e che lo rende affascinante. Il libro narra la vita di Siddharta, giovane indiano, che cerca la sua strada nei più svariati dei modi. Fin da subito il narratore si dimostra esterno ed onnisciente poiché, benché faccia intuire che la storia di Siddharta sia tra le più particolari, non esprime un suo punto di vista. Si può dire che la focalizzazione sia quella del giovane. Infatti è attraverso i suoi occhi che noi vediamo un’India del VI secolo a.C. dominata da molte religioni, da molti modi di vivere, da realtà e ipocrisie. Siddharta inizia il suo viaggio fiancheggiato dall’inseparabile amico d’infanzia, Govinda, il quale lo ha sempre visto come un saggio. I due decidono di andare a vivere con i "Samana", pensatori che vivono di poco o nulla, che imparano a immedesimarsi con tutto ciò che incontrano. Così fa infatti Siddharta. Dopo aver vissuto con loro, lui e Govinda decidono di andare a vedere il Buddha Gotama, alla quale setta Govinda decide di aggregarsi. Siddharta rimane quindi solo e arriva in una città, dove conosce la bella Kamala. La straordinaria maestria di Hesse è ben visibile nei capitoli riguardanti Kamala, in quanto non la nomina mai con un appellativo negativo, ma lascia intuire il lavoro, moralmente poco "elevato", della donna. Siddharta decide di imparare l’amore da lei e tramite quello apprende i vari modi di lavorare, di guadagnare, di spendere e di divertirsi. Il personaggio dell’autore che dapprima sembrava “immacolato” si dimostra soggetto alle debolezze umane, lui che considerava male quei comportamenti e che se ne considerava superiore. Dopo anni e anni trascorsi con Kamala, Siddharta capisce il suo errore e scappa. Qui si ha il climax del libro, Kamala abbandonata dall’uomo che ama e da cui sa di non essere amata porta in grembo un figlio destinato a chiamarsi come il padre. Anche senza dichiararlo apertamente, l'autore lascia intendere che Siddharta incontrerà il figlio. Questo succederà solo dopo un lungo periodo di transizione dell’ormai uomo Siddharta che, dilaniato dai rimorsi per il suo stile di vita degli ultimi anni, ipotizza per sé il suicidio come forma estrema di purificazione. Ma il caso, forse il destino, lo aiuta: incontra Govinda. L’amico da subito non lo riconosce, anzi si ferma pensando di aiutare uno sconosciuto. L’incontro tra i due è toccante, ma quando si separano si ha di nuovo la sensazione che si rivedranno. Siddharta ha ritrovato un motivo di vita e cerca una nuova strada, che trova sulle sponde dello stesso fiume nel quale pensava di porre fine alla sua vita. Un vecchio barcaiolo di nome Vasudeva ci abita e condivide con Siddharta l’idea che il fiume sia vivo, che parli, che insegni. Siddharta decide di rimanere con l’uomo da cui imparerà molto, anche durante i lunghi silenzi. Un’altra scena toccante si ha con il passaggio di Kamala che è in viaggio per trovare Gotama, il Buddha ormai morente; con lei c’è il piccolo Siddharta. Un serpente morde la madre, il piccolo piange e richiama l’attenzione del padre che, riconosciuta la donna, cerca di aiutarla, ma tutto è inutile. Ora Siddharta ha un figlio da crescere. Come in tutti i romanzi c’è l’antagonista dell’eroe, ma è un paradosso: di Siddharta è lo stesso figlio. Dopo anni di convivenza non proprio ottimale, il figlio scappa e Siddharta è costretto a lasciarlo andare. Questo episodio, inoltre, induce Siddharta a pensare a quando anche lui aveva abbandonato suo padre e al dolore che gli aveva sicuramente procurato. Un giorno anche il vecchio barcaiolo lascia Siddharta, recandosi nella foresta, alla ricerca anche lui di altre conoscenze. E qui si chiude il libro, nel rincontro di Siddharta e Govinda, ormai vecchi, vissuti, sapienti. L’amico ancora una volta non riconosce Siddharta, invecchiato, cambiato. Si raccontano le vite, ma soprattutto Govinda chiede all’amico quale sia, dopo tutti questi anni, la sua filosofia e Siddharta attua un monologo a dir poco affascinante. Ora c’è da chiedersi se quel che Hesse fa dire al suo personaggio non sia altro che quello che lui ha dedotto da anni di studi sui libri del nonno, ma su una cosa non si può che essere d’accordo: Siddharta è un Buddha. Ciò che trasmette questo libro non è solo un insegnamento morale, ma una lezione di vita su come giudicare per essere giudicati, su come cercare la conoscenza e su come anche il più puro degli uomini si possa ritrovare nel peccato.

b) Siddharta: è il protagonista della vicenda, che cerca di vivere la vita in tutta la sua pienezza, passa da un'esperienza all'altra, dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica al mondo duro degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione perché cerca il "tutto", che si veste di mille volti cangianti. Alla fine quel tutto: la ruota dell'apparenza rifluirà dietro il perfetto sorriso di Siddharta, quel sorriso che egli stesso aveva venerato tantissime volte nella figura di Gotama il Buddha.

Personaggio a tutto tondo che nel corso della sua vita, oltre a mutare il suo comportamento, muta anche il suo aspetto, infatti da ragazzo ricco, figlio di Brahmino, ben tenuto e vestito bene, passa ad essere un Samana, con vestiti logori, capelli sporchi e pessimo aspetto, per poi tornare ad essere, nella città dei mercanti, un uomo ricco, ben vestito e con grande cura di sé; ha una personalità molto forte, anche se quando arriva in città perde di vista le vere cose importanti, lasciandosi trasportare dalla vita. Si comporta sempre da Samana, ovvero da uomo saggio, affascinando le persone con la sua arte di pensare.

La condizione di Siddharta dal punto di vista sociale è mutante durante lo svolgimento del racconto. Questa mutazione ha un andamento instabile vediamo difatti Siddharta vestire i panni inizialmente di un Brahamino per poi diventare un Samana ed infine un “uomo Bambino” per poi diventare il vecchio e saggio barcaiolo. Economicamente la sua condizione cambia ma in modo inversamente proporzionale alla condizione sociale.Inizialmente è semipovero poi da samana è costretto a chiedere la carità.Come “uomo Bambino” si arricchisce ma poi torna povero e ricco di conoscenze. Siddharta era molto ricco culturalmente. Sapeva scrivere,pregare e concentrarsi. Queste qualità gli servirono in più casi.Pregare e concentrarsi gli servirono per diventare samana; e scrivere gli servì per apprendere la dottrina dell’amare da Kamala. Era un ragazzo che aveva pensieri molto profondi ed aveva indubbiamente un’ anima pulita, anche se da lui ci si poteva aspettare di tutto o di niente. Era molto sapiente e la sua sapienza si celava sotto lo stato apparente delle sue parole. Aveva la capacità di convincersi di avere caldo sulla neve o di stare comodo sugli spini, anche se non poteva salvarlo dal suo avvicinarsi all’impurità delle persone. Era una persona molto amichevole ed orgogliosa in quanto si sentiva superiore alla gente anche se poi cadeva nei tranelli della vita.

Govinda: è il miglior amico di Siddharta per il quale ha una predilezione, lo segue in tutte le decisioni fino a quando non sarà pronto per decidere da solo, infatti lui diventerà uno dei tanti monaci seguaci di Gotama. Govinda è di indole tranquilla ed è un amico fedele, ciò che lo accomuna con Siddharta è la curiosità.

La condizione sociale di Govinda muta, nella prima parte del racconto come quella dell’amico Siddharta.

Inizialmente è anch’egli un giovane bramino ma poi segue la strada del compagno e diventa un samana della foresta.

La sua condizione si trasforma notevolmente poi, quando diventa un seguace del perfetto. Qui Govinda trova la sua aspirazione e la sua condizione sociale non cambierà fino alla fine del racconto.

Anch’esso come Siddharta era molto ricco culturalmente sebbene le sue capacità, a differenza di quelle di Siddharta si estendevano solo in campo religioso. Naturalmente esso era una persona educata alla rinuncia e come tale sapeva far fronte a qualsiasi problema soltanto aspettando.

Kamala: donna della città in cui giunge Siddharta dopo aver lasciato Govinda. Questa insegna all'uomo, del quale è molto affascinata, come diventare un mercante e un uomo raffinato che bada però più all'atteggiamento che alla sostanza; gli insegna inoltre l'arte dell'amore, restando incinta proprio l'ultima volta che si videro. E' una donna vivace e intelligente, che comprende di non poter trattenere il suo compagno perché lui ha bisogno di percorrere il suo cammino spirituale fino in fondo.

Vasuveda: è un semplice barcaiolo che Siddharta incontra nell’attraversare un fiume. È il personaggio più importante del romanzo, in quanto insegna a Siddharta l’arte di ascoltare e amare tutto ciò che è materiale, a capire il senso di ogni cosa terrena. Vasudeva viene considerato un santo, più del Buddha, poiché non insegna una dottrina, ma una realtà. Successivamente Siddharta vivrà con lui molto a lungo. E’ un uomo piuttosto anziano e povero che ha fatto questo lavoro per tutta la vita; è taciturno, non ama parlare e ha perso la moglie molti anni prima dell’ incontro di Siddharta.

6.a) Gli argomenti centrali del romanzo sono la sete di conoscenza e di esperienza che portano il protagonista a vivere allo stesso modo nella meditazione e nella vita d’affari, senza riconoscere alcun maestro. Ciò che egli cerca è il tutto che alla fine troverà attraverso l’illuminazione. Il messaggio dell’autore è molto utile, profondo e rivolto a tutti. Consiste nel concetto che, per raggiungere la felicità, ognuno deve dapprima conoscere bene il proprio “ego” interiore ed è lì che troverà tutte le risposte alle domande che si pone. Inoltre l’autore ci dice che ogni persona deve cercare la propria strada e toccare con mano i vari aspetti della vita. Solo coloro che non hanno abbastanza forza d’animo si appoggiano a delle dottrine che in apparenza danno loro sicurezza, ma per l’autore non è quel tipo di vita che regala al felicità. Inoltre il racconto della vita di Siddharta insegna a ricavare il massimo dalla vita apprezzando ciò che ci circonda e sfruttando al massimo le proprie capacità e il proprio potenziale, ma anche che non bisogna perdere di vista né la propria meta, i propri punti di riferimento e che bisogna anche dare ascolto all’istinto. Le idee guida si soffermano nel valorizzare, ancora una volta, la ricerca assidua e continua della libertà spirituale, concetto astratto, ma di fondamentale importanza per la religione buddista. Il messaggio del testo sottolinea la determinazione nel raggiungimento di uno scopo da parte degli uomini, come volerlo con tutte le forze, e ribadisce che non c’è nessuna certezza se non il presente. Altra idea trasmessa dal racconto, è che la saggezza non può essere trasmessa come la cultura, bensì deve essere raggiunta da un qualsiasi individuo a proprio tempo, e con comportamenti e ragionamenti personali e non trasmettibili.

b) Si presume che il punto di vista dell’autore coincida con le tematiche da lui stesso trattate, poiché si crede che la narrazione derivi da uno studio minuzioso riguardante la cultura e le tradizioni orientali.

c) No, l’autore nel corso della narrazione non esprime propri giudizi riguardo le vicende da lui stesso narrate.

d) Si, l’autore esprime sentimenti nei confronti dei suoi personaggi,anche se questi sentimenti non vengono espressi in modo diretto, ma indirettamente, tramite le sue ottime capacità narrative.

7.a) Il racconto è in terza persona.

b) Lo stile che l’autore ha adottato nella stesura del libro è molto complicato e prolisso. Ho avuto molte difficoltà in certi passaggi che ho dovuto leggere numerose volte per avere il presagio di averli capiti. Il linguaggio rispecchia la difficoltà e la complessità del tema espresso, che sarebbe stato più comprensibile se il linguaggio fosse stato più semplice.

c) Lo stile del romanzo è sicuramente impressionistico per l’alto numero di termini astratti che prevalgono su quelli concreti. Il registro del linguaggio è filosofico con un abbondante uso di aggettivi legati al mondo interiore e alla meditazione.

f) Nell’arco della narrazione la presenza delle metafore è più che frequente. Le metafore sono sicuramente la figura retorica più utilizzata nell’arco della narrazione da parte dell’autore. Infatti tramite quest’ultime le tematiche affrontate sono più comprensibili anche dai più giovani, e sono affrontate più piacevolmente.

g) No, l’autore non fa uso di termini dialettali.

8. Siddharta non è solo un semplice romanzo di formazione ma racchiude diversi modi di pensare non inventati dall’autore ma frutto di veri saggi. Questo libro mi ha fatto pensare molto e lo leggerei volentieri una seconda volta per capire più affondo il modo di pensare dei vari protagonisti.

“Che cosa sai fare, dunque?”. “Io so pensare. So aspettare. So digiunare.” Kamala domanda a Siddharta che cosa sapesse fare, così per procurargli un lavoro. Siddharta risponde con le tre cose principali insegnate dai Samana e con queste tre cose, anche se banali, egli riesce non solo a diventare ricco ma a comprare una villa in città e a guadagnarsi la fiducia di Kamala. Questa è sicuramente una delle citazioni che più mi ha colpito nell’arco della lettura.

Relazione libro "Se questo è un uomo"-Primo Levi

Relazione “Se questo è un uomo”

1.”Se questo è un uomo”.

2.Primo Levi.

Primo Levi (Torino, 31 luglio 1919Torino, 11 aprile 1987) è stato uno scrittore italiano autore di racconti, memorie, poesie e romanzi. Nel 1944 venne deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Il suo romanzo Se questo è un uomo, che racconta le sue esperienze nel Lager nazista, è considerato un classico della letteratura mondiale. Nato a Torino in una famiglia ebraica il 31 luglio 1919, nel 1934 si iscrive al liceo classico "Massimo d'Azeglio" di Torino, noto per aver ospitato docenti illustri e oppositori del fascismo come Augusto Monti, Franco Antonicelli, Umberto Cosmo, Norberto Bobbio, Cesare Pavese, Massimo Mila, Leone Ginsburg e molti altri. Questi insegnanti sono però già stati allontanati e il clima politico si è ormai raffreddato.

Nel 1937 si diploma e si iscrive al corso di laurea in chimica presso l'Università di Torino. Nel novembre del 1938 entrano in vigore, anche in Italia, le leggi razziali.Si laurea nel 1941 a pieni voti e con lode.

Nel 1943 si inserisce in un nucleo partigiano operante in Val d'Aosta. Dopo poco, nel dicembre 1943, viene arrestato dalla milizia fascista nel villaggio di Amay sul versante verso Saint-Vincent del colle di Joux tra Saint-Vincent e Brusson, e trasferito nel campo di transito di Fossoli presso Modena. Il 22 febbraio 1944, Levi ed altri 650 ebrei, vengono stipati su un treno merci e destinati al campo di concentramento di Auschwitz in Polonia. Levi rimase in questo Lager per undici mesi, fino alla liberazione da parte dell'armata rossa. Fu uno dei venti sopravvissuti fra i 650 che erano arrivati con lui al campoIl viaggio di ritorno in Italia, narrato nel romanzo "La tregua", sarà lungo e travagliato. Si protrae fino ad ottobre, attraverso Russia, Ucraina, Romania, Ungheria e Austria.

Mosso dalla prorompente necessità di testimoniare l'incubo vissuto nel Lager, si getta febbrilmente nella scrittura di un romanzo testimonianza sulla sua esperienza ad Auschwitz, verrà intitolato Se questo è un uomo. In questo periodo conosce e si innamora di Lucia Morpurgo che diventerà sua moglie. Levi afferma come questo incontrò sia stato fondamentale per la stesura di Se questo è un uomo. Nonostante una recensione favorevole sul suo libro di Italo Calvino su L'Unità, incontra uno scarso successo di vendita. Delle 2500 copie stampate, se ne vendono solo 1500, sopratutto a Torino.

Nel 1956, a una mostra della deportazione a Torino, incontra un riscontro di pubblico straordinario. Riprende fiducia nei suoi mezzi espressivi. Partecipa a numerosi incontri pubblici (sopratutto nelle scuole) e ripropone Se questo è un uomo ad Einaudi che decide di pubblicarlo. Questa nuova edizione incontra un successo immediato.

Quattordici anni dopo la stesura di Se questo è un uomo, incomincia a lavorare a un nuovo romanzo sull'odissea durante il ritorno da Auschwitz. Questo romanzo viene intitolato La tregua e vince la prima edizione del Premio Campiello, del 1963.

Primo Levi muore l’11 Aprile del 1987 a Torino.

Lo stile letterario di Primo Levi, come si evince nelle sue maggiori opere, è uno stile realista-descrittivo. Si tratta infatti di una narrazione asciutta, sintetica ed esauriente quanto basta per comprendere i sentimenti dell'opera. Stile che ben si adatta al vasto pubblico a cui Levi intende rivolgersi, in special modo se si tratta di una tematica di estrema importanza come quella della prigionia del lager.

3.”Se questo è un uomo” fu pubblicato nel 1947.

4.Romanzo autobiografico.

5.a) Se questo è un uomo è un romanzo autobiografico di Primo Levi scritto tra il dicembre 1945 ed il gennaio 1947, che rappresenta una testimonianza intensa e toccante dell'esperienza dell'autore nel campo di concentramento di Auschwitz. Scorci della vita quotidiana all'interno del campo di Monowitz, sede dell'impianto della Buna, scanditi da riflessioni profonde dell'autore permettono al lettore di immedesimarsi con il protagonista-autore nella sua "esperienza". La lettura del libro è un'esperienza intensa, dolorosa anche per il lettore che rivive insieme all'autore tutta la sofferenza di quei giorni. La morte è sempre presente, viene però vissuta come un evento inevitabile della quotidianità. Tra le righe troviamo anche momenti di speranza, eventi che capitano e che ricordano ai protagonisti che forse non tutto è perduto. Il testo viene scritto non per vendetta, ma come testimonianza di un avvenimento storico che sa di tragico. Molto importante è, da parte dell'autore, assumere di tanto in tanto la prospettiva dello scienziato: la società dei detenuti funziona secondo regole complesse ed incomprensibili per chi vi è appena arrivato. Primo Levi tiene molto a spiegare ad esempio il variegato panorama linguistico delle varie comunità etniche, compreso l'uso di termini specifici tedeschi in tutte le lingue. Ricoprono inoltre un ruolo di primo piano le descrizioni dei rapporti tra i detenuti: Levi si concentra spesso sulla psicologia e sui comportamenti dei detenuti, indicando quali regole di fratellanza o di civile convivenza vengono, per volere dei superiori, messe a tacere nella vita quotidiana del lager. Nel campo regna qualcosa come la certezza matematica che la maggior parte delle persone ancora in vita è destinata a morire: per questo, un argomento di primo piano del romanzo è costituito dalle doti di carattere, dagli stratagemmi e dai sotterfugi da intraprendere per poter appartenere al gruppo dei privilegiati che sopravviveranno, se non all'intero soggiorno, almeno al prossimo periodo di crisi e terrore.

b)

Descrizione dei tre personaggi principali

Il primo personaggio che mi è rimasto impresso durante la lettura del libro, è Schlome. Primo Levi, arrivato da poco al campo di concentramento d’Auschwitz, stava vagando tra la folla dei deportati in cerca di qualche voce o volto famigliare quando notò appoggiati ad una parete di una baracca due ragazzi seduti. Erano di circa 16 anni ed entrambi avevano le mani e il viso sporco di fuliggine: uno di loro fermò Levi ed iniziò a dialogare con lui. Il giovane ragazzo si chiamava Schlome: era ebreo polacco, da tre anni nel lager. Egli sapeva bene il tedesco ma Levi poco e perciò non capiva molto ciò che diceva: nel campo di concentramento lavorava come fabbro. Il ragazzo, dialogando con l’autore, gli chiese che mestiere facesse e dove fosse sua madre. Quando Levi rispose che lei era rifugiata in Italia, il polacco si alzò e lo abbracciò timidamente. L’autore non rivide più il giovane ma non scordò mai l’espressione grave e mite del suo volto.
Schlome rappresenta tutti i giovani che, pur innocenti, sono stati condotti nei lager dai nazisti. Egli entrò giovanissimo ad Auschwitz e visse l’inizio della sua adolescenza in questo luogo di sofferenza e di morte.
E’ incredibile che un sedicenne sia costretto a lavorare come fabbro, un lavoro pesante e faticoso. Questo fatto rende palese la volontà dei nazisti di annientare chiunque fosse dichiarato nemico, non facendo differenza tra uomini, donne e bambini.

Del secondo personaggio che ho scelto, Levi ne parla nel capitolo dedicato ai “sommersi” ed ai “salvati”: con questi due termini vuole identificare coloro che soccombevano e quelli che riuscivano a sopravvivere. Moltissimi sono stati i piani escogitati ed i metodi per non morire, tanti quanti i caratteri umani. Schepschel era nel lager da 4 anni: prima di essere catturato aveva visto cadere molti suoi connazionali. Tutto iniziò quando il suo villaggio in Galizia (Russia) fu assaltato e devastato: nell’assalto egli perse la moglie e 5 figli, e il suo negozio di sellaio. Da parecchio tempo si considerava solo “ come un sacco che deve essere periodicamente riempito”, pensando esclusivamente a sfamarsi e a sopravvivere. Schepschel non era particolarmente coraggioso, né robusto, né malvagio. Inoltre non era astuto e non si prodigava molto per guadagnarsi una situazione meno precaria, vivendo solo di piccoli espedienti occasionali. Qualche volta rubava una scopa e la rivendeva al suo Blockältester (il capo-baracca). Ogni tanto se riusciva ad avere un buon numero di razioni di pane, affittava gli attrezzi da calzolaio per poi lavorare per ore. Era capace di fabbricare delle bretelle con del filo elettrico: per guadagnare qualche avanzo di zuppa aveva persino cantato e ballato davanti a degli operai slovacchi. Schepschel in fondo era un disperato che cercava solo di portare avanti la sua lotta per non soccombere. E non esitò quando ebbe l’opportunità di fare la spia, facendo fustigare un suo compagno per aver rubato: sperava, infatti, con questa soffiata di poter aspirare al posto di lavatore delle marmitte.
Qui si capisce veramente a cosa erano ridotti a fare i prigionieri per sopravvivere. Per non soccombere ci si umiliava, si utilizzava ogni cosa (persino del filo elettrico) e si faceva anche la spia se poteva essere vantaggioso. Tutti quelli che andavano nel lager non erano più considerati uomini ma cose, “pezzi”, perdendo la loro dignità. Lavoravano come asini da soma, mangiavano poco, erano spesso spogliati per controlli medici e le loro condizioni igieniche erano scarse. É chiaro quindi che ogni prigioniero fosse pronto a tutto, a qualsiasi bassezza, pur di guadagnare una razione di pane per sfamarsi.

L’ultimo personaggio da me scelto è Henri: anche lui come Schepschel è menzionato nel capitolo dei sommersi e dei salvati. Egli sapeva esattamente come sopravvivere in Lager: aveva 22 anni, era molto intelligente e parlava francese, inglese, tedesco e russo.
Dopo che suo fratello era morto in lager, Henri aveva reciso ogni affetto, chiudendosi in se stesso e iniziando una lotta continua per vivere.
Per lui erano tre i metodi per salvarsi pur rimanendo degno di essere chiamato Uomo: l’organizzazione (intesa come procurarsi cibo od altro illegalmente), la pietà e il furto. Era il migliore nel raggirare i prigionieri di guerra inglesi che potevano essere molto redditizi. Monopolizzava il traffico delle merci inglesi, attuando così il primo metodo. Il suo vero strumento di persuasione era la pietà. Henri aveva tratti quasi femminili, occhi neri e profondi, viso glabro, riusciva muoversi con naturale eleganza ma anche agilmente “come un gatto “. Egli conosceva le sue capacità e le sfruttava con fredda determinazione per i suoi scopi, ottenendo grandi risultati. Henri capì che la pietà faceva breccia anche nell’animo più primitivo e con essa riuscì a ricavarne profitto. La sua “tattica” era questa: dava uno sguardo alla vittima, studiava che tipo di soggetto fosse, gli parlava brevemente e così l’interlocutore cadeva nella trappola. La vittima ascoltava Henri attentamente, poi si commuoveva per la triste storia del “giovane sventurato”e poco tempo dopo iniziava a “dare i suoi frutti”. Nessun’anima gli resisteva: aveva numerosi protettori tra cui inglesi, francesi, polacchi, politici tedeschi e perfino una SS. Anche in infermeria aveva dei protettori: alcuni medici lo facevano entrare e lo ricoveravano quando voleva.
Poiché la pietà gli permetteva numerose amicizie, il furto gli garantiva un ancor maggior guadagno, ma di questo si confidava malvolentieri. A Levi piaceva parlare con lui: non c’era cosa che egli non conoscesse e su cui non avesse ragionato. Henri parlava modestamente delle sue “prede”; per qualche attimo pareva all’autore un uomo “caldo”, sincero, riuscendo quasi a percepire la sua umanità. Ma poi quando Henri interrompeva il loro dialogo e ritornava “alla caccia”, rivelava di sé la sua falsità, la fredda determinazione che lo rendeva “nemico di tutti”. Questo personaggio creò confusione nell’animo di Levi che pensò più volte di essere stato a sua volta raggirato e usato.Ora Henri è ancora vivo e ma l’autore si augura di non rivederlo più.
É un prigioniero molto particolare nel lager. Nel libro non vi è nessun accenno alla sua vita da uomo libero ma io penso che il raggirare le persone suscitando pietà sia stata una diretta conseguenza del suo lutto. Egli, oppresso dalla morte del fratello e da quel vivere disumano ad Auschwitz, aveva deciso di utilizzare tutte le sue forze per sfruttare chi lo circondava, miseri prigionieri come lui, ingannandoli e usandoli come “uno strumento nelle sue mani”. Henri aveva cercato solamente di difendersi come poteva da questo mondo terribile, soprassedendo a leggi morali che in certe situazioni estreme vengono a meno.

6.a)Nell’arco della narrazione sono varie e molteplici le problematiche e le tematiche trattate dall’autore,essenzialmente riguardanti la vita dell’uomo all’interno del campo di annientamento. Ancora le problematiche si possono suddividere nuovamente per la loro molteplicità: problematiche riguardanti i rapporti tra i detenuti, riguardanti il comportamento dei tedeschi con i detenuti, e problematiche affrontate dai detenuti con se stessi,cioè problematiche riguardanti il loro l’”ego” dei vari detenuti.

Per quanto concerne le problematiche riguardanti il comportamento tra i detenuti l’autore-protagonista fa capire al lettore a che punto possa arrivare l’essere umano quando si trova in situazioni di tale portata.

L’autore descrive allo stesso tempo la meschinità,la furbizia e la cattiveria dell’uomo,in questo caso esercitata tra gli stessi detenuti,che vivevano nella stessa identica condizione in una situazione deleteria,e invece di sussistersi tra di loro,si annientavano a vicenda.

Per quanto concerne invece il comportamento dei tedeschi nei confronti dei detenuti l’autore non offre lo stesso spazio rispetto ai rapporti tra questi ultimi.

Soprattutto “in incipit” del racconto riguardante il centro di annientamento l’autore narra dei comportamenti dei suoi “dittatori”,riferendosi spesso alle regole assurde da loro stessi attuate,riferendosi alla loro mancanza di rispetto e riferendosi alla loro mancanza di umanità nei confronti del Mondo.

Di fatto alcuni comportamenti dei tedeschi sono a dir poco intollerabili e ingiustificabili, tra cui le selezioni, le uccisioni pubbliche, il far stare i detenuti in maglietta a maniche corte quando fuori la temperatura è sotto zero. Insomma l’autore descrive quasi disgustato i loro comportamenti e li condanna apertamente.

Le problematiche riguardanti l’ “ego” dei detenuti sono sicuramente le problematiche a cui l’autore dedica più spazio, poiché da lui ritenute il perno della narrazione.

Sicuramente il problema principale che tormentava la vita di qualsiasi detenuto era la consapevolezza che la morte sarebbe potuta arrivare da un momento all’altro e la consapevolezza che lì,nel campo d’annientamento non si poteva fare quasi niente per evitarla. Ognuno reagiva a modo suo, alcuni si chiudevano in se stessi come Henri che ho citato precedentemente, altri perdevano la testa ed arrivavano a fare qualsiasi cosa. Scioccante nel racconto è il vedere fino a che punto possa arrivare l’uomo per provare a sopravvivere, tentativo che nove volte su dieci in quel luogo era più che inutile.

Un'altra problematica associata a quest’ultima è la perdita di qualsiasi speranza da parte del prigioniero. Non esisteva per nessuno il domani né il “mai”. Mai nel gergo del campo si diceva:”morgen fruh”. Cioè: ”domani mattina”.

b)Il punto di vista dell’autore riguardo le problematiche da lui stesso trattate è certamente negativo, poiché sono state vissute da lui stesso con conseguenze devastanti e indelebili.

c)Si, l’autore durante la narrazione esprime i propri giudizi sulle varie vicende da lui stesso trattate,di fatto il libro è autobiografico. Tra i tanti giudizi vi sono quelli riguardanti i vari comportamenti dei tanti deportati o anche quelli riguardanti la grande varietà di linguaggi e ancora esprime propri giudizi riguardo le assurde regole da rispettare durante la permanenza nel lager,che nei primi mesi dopo il suo arrivi gli risultavano incomprensibili e sono anche presenti giudizi riguardo i comportamenti tenuti dai tedeschi nei confronti dei prigionieri.

d)Si, l’autore prova vari sentimenti verso i suoi vari compagni di sventura.Passa dalla compassione per i ragazzi deportati o per i meno agiati alla rabbia nei confronti di coloro i quali vanno avanti nel lager imbrogliando chiunque,tendenza più che comune, e naturalmente anche nei confronti del popolo tedesco da cui era assoggettato.

e)

7.a)Il racconto è in prima persona.

b)Il linguaggio è moderno,il testo è scorrevole,chiaro e conciso,di fatto per maggior parte non è altro che un resoconto attuato dall’autore-protagonista sulle vicende da lui stesso vissute.

c)L’autore si esprime con un linguaggio abbastanza confidenziale e in modo decisamente realistico ed anche crudo.

d)Si, l’autore ricorre a termini tecnici nel esporre l’organizzazione della vita nel lager. Li utilizza in maggior parte per i nomi dei vari edifici e dei vari suoi superiori.

e)Il romanzo è scritto come racconto/informazione, poiché lo scopo dell’autore è principalmente proprio esporre le vicende e informare la popolazione non al corrente riguardo determinate situazioni.

f)Sì,l’autore ricorre a metafore durante la narrazione per aggiungere una vena poetica al racconto e per cercare di far intendere ai lettori la realtà in modo meno crudo,magari paragonando gli avvenimenti del lager con avvenimenti della vita quotidiana.

g)No,l’autore non fa uso di termini dialettali. Bensì sono spesso presenti termini stranieri utilizzati anche per rendere partecipe il lettore della grande varietà di etnie all’interno dello stesso lager.

8.Il contenuto dell’opera è chiaro e conciso ed è destinato a rimanere tra i principali della storia della letteratura italiana. I problemi e le tematiche poste dall’autore sono più che seri e sono trattati in maniera sublime da lui stesso. Il racconto inoltre non potrebbe essere più dettagliato.

Per quanto concerne il linguaggio, quest’ultimo è abbastanza tecnico, ma allo stesso tempo è chiaro e facilmente reperibile da qualsiasi lettore,il tutto è ulteriormente accentuato dall’uso del discorso diretto ed indiretto libero.

Scheda di storia dell'arte dei "Bronzi di Riace"

Autore: Sconosciuto

Titolo dell’opera: Bronzi di Riace

Data: V secolo a.C.

Tecnica e materiali: Fusione cava a cera persa; lega di rame e stagno

Dimensioni: Alti due metri circa

Collocazione attuale: Museo della Magna Grecia, Reggio Calabria

Descrizione: I Bronzi di Riace sono una coppia di statue bronzee, di provenienza greca o magnogreca, realizzati intorno al V secolo a.C. e pervenuti fino alla nostra epoca in ottimo stato.
Le due statue, rinvenute nel 1972 vicino Riace in provincia di Reggio Calabria, oltre ad essere considerate tra le opere d’arte più importanti del periodo ellenico, sono tra le pochissime testimonianze di quell’epoca, e da questa loro rarità traggono la loro importanza
. I Bronzi di Riace si mostrano in un momento di evidente elasticità muscolare, soprattutto per la loro posizione, detta a “chiasmo”. Le due statue presentano anche delle lievi differenze espressive; infatti il “bronzo A” appare più nervoso e vitale, mentre il “bronzo B” sembra più calmo e rilassato. Le due statue, mediante anche la loro postura e la loro posizione delle braccia, trasmettono una sensazione di forza e potenza. È evidente, vista la posizione degli arti superiori, che le due statue impugnassero con un braccio uno scudo, con l’altro un’arma. Sempre per quanto riguarda le ipotesi di armamenti, il bronzo B ha la testa scolpita in maniera leggermente differente, e si ipotizza che sia stata fatta così per far entrare perfettamente in essa un elmo a quanto pare di stile corinzio. Mediante lo studio dei materiali e delle tecniche si suppone che le due statue potrebbero essere attribuite ad artisti differenti o realizzate in epoche distinte oppure da uno stesso artista in luoghi differenti. Dopo oltre trent’anni dal loro ritrovamento, le due statue non hanno ancora trovato un’identificazione, in quanto le notizie su di loro sono pressappoco nulle. Ad oggi infatti risultano ancora controverse l'attribuzione dell'artista (o artisti), l'ambiente culturale/stilistico in cui le due statue furono concepite e la loro datazione.

Contesto storico-culturale: Le due statue furono con probabilità realizzate ad Atene e da lì furono rimosse per essere portate a Roma, forse destinate alla casa di qualche ricco patrizio. Ma il battello che le trasportava affondò e il prezioso carico finì sommerso dalla sabbia a circa otto metri di profondità. Non è da escludere che all’epoca fu già fatto un tentativo di recupero, andato infruttuoso così che le statue sono rimaste incastrate nel fondale per circa duemila anni, prima che ritornassero a mostrarsi in tutto il loro splendore. Dopo anni di ipotesi e di ricerche i due guerrieri di bronzo sembrano aver ritrovato la loro identità. Gli autori dei bronzi sembrerebbero infatti essere Agelada di Argo e Alcamene di Lemno, e si è arrivati a tale tesi mediante lo studio del famoso tempio di Olimpia. I due bronzi quindi, secondo questa tesi, farebbero parte di un gruppo statuario dedicato a celebrare la leggenda dei “Sette a Tebe”. Secondo questa tesi, i bronzi non avrebbero solo un nome, ma anche una leggenda alle spalle, che spiegherebbe al meglio la loro postura e le loro espressioni, ma in ogni caso, al momento, è solo una delle tante tesi da avvalorare, ma sta godendo di un buon seguito.

Analisi poesia "Non chiederci la parola"

ANALISI DEL TESTO.

La lirica appartiene alla sezione "Ossi di seppia", che dà il nome alla raccolta omonima del 1925 nella quale confluiscono varie tendenze poetiche, spinte contrastanti come il simbolismo francese ed italiano, il vocianesimo, la poetica di Sbarbaro, la lezione del "Baretti" e della "Ronda". Il testo è una sequenza di tre quartine di vario metro (endecasillabi sono i versi 3,4,8,11,12, i versi 2 e 10 sono martelliani o doppi settenari) con rime incrociate nelle prime due quartine e baciate nell'ultima. Si segnala una rima ipermetra al verso 7 ("canicola") in cui la sillaba finale eccedente non viene computata.

L'incipit del testo è una sorta di dichiarazione di poetica che segna il momento di passaggio antitetico da una poesia "piena", propositiva, di carducciana o dannunziana memoria, ad una poesia della negatività, dell'impotenza di una condizione umana contrassegnata dall'aridità e dalla lacerazione. La lirica è volta alla negazione dell'inganno di facili scelte ideologiche e stilistiche, all' abbandono della poetica delle sensazioni e della musicalità, ad una scrittura che si condensa in immagini-metafore con una loro oggettività emblematica.

Il testo presenta una serie di negatività insistite ai versi 1, 9, 12 ("non chiederci...non domandarci...non siamo...non vogliamo"), di asprezza di suoni e consonanti doppie ("squadri", "informe", "lettere", "mezzo" ecc.) con una sintesi negativa e fulminante al verso 12, con iterazione del "non" che connota il testo di una valenza nichilista e induce il critico Mengaldo a far riferimento a Leopardi. Da notare le allitterazioni del fonema "r" ai versi 1 e 2, del fonema labiale "p" al verso 4, e dell'insistita allitterazione della sibilante "s" ai versi 8 e 10 ("stampa", "sopra", "scalcinato"; "storta sillaba secca", ecc.) ; ricca è anche la struttura fonica della seconda strofa per l'allitterazione al verso 7 ("non cura che la canicola"). La "parola" al verso 1 indica metonimicamente un discorso che non può più essere comunicativo e rivelatore. Al discorso che "squadra da ogni lato" e "dichiara a lettere di fuoco" o risplende come "croco" (vv 1-3) si contrappone la parola "ormai informe", arida e contorta, immagine speculare di una condizione esistenziale. La serie di enjambement nei primi tre versi sottolinea una frammentarietà sintattica, metafora ed emblema di una frammentarietà e scissione dell' Io lirico. La dimensione interiore è quella della privazione e dell'insicurezza ("Ah l'uomo che se ne va sicuro",v 5), di un rapporto lacerato col mondo e con se stesso. Il periodo nominale al verso 5 indica un atteggiamento ambivalente nei riguardi dell'uomo comune, che il poeta invidia e al tempo stesso non stima o disprezza ("e l'ombra sua non cura che la canicola/stampa..." vv 7-8).

Il riferimento ad uno scenario implicitamente cittadino ("muro scalcinato" v.8) rimanda ad un paesaggio squallido e disumanizzante. Il "muro" rinvia al "prato polveroso" del v.4 , entrambi immagini-metafore, isotopi di una realtà cittadina e periferica innaturale e arida (la "canicola" al v.7 accresce il senso di aridità del paesaggio urbano); il "polveroso prato" rimanda altresì ad immagini care ai poeti crepuscolari. L'explicit del componimento si caratterizza ancora una volta per l'insistita reiterazione dei suoni aspri come le doppie e gli scontri consonantici "arc" e "apr" ("domandarci", "aprirti", "dirti" vv.9-11 ) che rinviano , come altrove nella lirica montaliana, all'asprezza di suoni danteschi. Il v.9 riprende ed integra semanticamente il v.1, la "formula" richiama infatti la "parola" dell' incipit , metonimia di un miracolo impossibile, di una rivelazione illusoria che possa dare verità o svelare mondi diversi, metafora di una felicità primigenia, irrecuperabile e persa. La disarmonia di una condizione di separatezza tra l'uomo e la realtà, la perdita di una identità può essere ricostruita unicamente attraverso "storte sillabe e secche come un ramo" v.10, contrapposto quest'ultimo al "croco" lussureggiante del v.3. Il finale sentenzioso al v.11 con prolessi del dimostrativo, anticipa le soluzioni della successiva raccolta "Le occasioni" ed esprime con una sorta di climax la "non-rivelazione", l'ossimoro di una "non-verità" da rivelare ("Codesto solo oggi possiamo dirti/ciò che non siamo, ciò che non vogliamo", vv.11-12).

I due versi conclusivi sanciscono pertanto una soluzione nichilista che nega ogni affermazione seppure in modo provvisorio ("oggi", v.11). La lirica delinea dunque un implicito percorso, il passaggio da una condizione di felicità e beatitudine panica (l' "osso di seppia" è immagine marina che rimanda all'ipotesto dannunziano dell' "Alcyone"), ad una nuova condizione di sostanziale aridità in cui si fa strada il rapporto conflittuale e problematico con la realtà e la storia, ma anche la necessità di svelare ed accettare, senza mistificazione, la negatività della condizione.